Trekking Alto Molise dal 9 al 16 luglio 2022
La destinazione Molise ha costituito una novità per il GRUPPO TAM – Tutela Ambiente Montagna – del CAI Torino e CAI UGET Torino, dato che la seconda più piccola regione italiana non era stata finora inserita tra le proposte di trekking (ad eccezione del trekking 2021 sui sentieri della transumanza, svolto anche nella parte molisana).
Forse perché la regione soltanto da un paio di anni è apparsa con una certa evidenza su riviste o spot televisivi, dopo essere stata indicata dal New York Times tra le quattro destinazioni italiane da non perdere per il 2020 (in una rosa di 52 destinazioni nel mondo), dato che, come scrivemmo nella locandina di presentazione del trek, offre al visitatore «un affascinante connubio di natura incontaminata, varietà di paesaggi, graziosi antichi borghi, sorprendenti siti archeologici, tradizioni artigianali uniche, testimonianze della cultura pastorale, qualità umane, sapori intensi e genuini.»
Eppure questa destinazione «da non perdere», il cui territorio si suddivide per lo più fra montano (55%), collinare (44%) e pochissime pianure (1%), è afflitta da una drammatica perdita di abitanti (quasi 15.000 abitanti in meno nel triennio 2019-2021), tanto che dai 305.000 ca abitanti del 2019 è scesa ai 290.769 al 1°gennaio 2022 (fonte Istat). Rappresenterebbe quindi una meta di particolare valenza per il CAI, anche alla luce del Bidecalogo CAI 2013, il documento che contiene una serie di linee guida e principi etico-ambientali cui il Sodalizio si impegna riguardo la tutela dell’ambiente montano e del territorio, laddove in particolare ritiene di «sostenere iniziative economiche che contrastino lo spopolamento della montagna» (vedi: NUOVO BIDECALOGO, Linee di indirizzo e di autoregolamentazione del Club Alpino Italiano in materia di ambiente e tutela del paesaggio, Torino, 2013, Premessa, pag. 7).
Nel medesimo documento è affermato inoltre che «Il CAI privilegia e incentiva il turismo sostenibile, finalizzato prevalentemente alla “esplorazione” intesa come osservazione ed immersione nella natura in contatto con la cultura e le tradizioni locali, convinto che ciò costituisca un tangibile contributo alla conservazione dell’ambiente.» (vedi: NUOVO BIDECALOGO, Linee di indirizzo e di autoregolamentazione del Club Alpino Italiano in materia di ambiente e tutela del paesaggio, Torino, 2013, Punto 4 – Turismo in montagna, pag. 12).
Perciò un bel gruppo di 26 soci ha messo in pratica i principi di cui sopra e verificato sul campo quanto descritto dalla locandina, partendo dalla stazione di Porta Nuova sabato 09 luglio 2022.
Possiamo dire ora che la «natura incontaminata» ha avuto il suo massimo nell’escursione a Monte La Meta, fra il comprensorio delle Mainarde e quello dei Monti de La Meta. Circa 4000 ettari entrati a far parte nel 1990 nel P.N.A.L.M. – Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise. I 20 tornanti della strada per arrivare al Pianoro Le Forme, punto di inizio del cammino, impegnano decisamente il bravissimo autista Michele sulla stretta strada di montagna. Occorre cedere il passo anche ai (fortunatamente piccoli) camion di boscaioli, che incontriamo più volte, insieme a muli e cavalli. Dal Pianoro Le Forme, seguendo il segnavia M1, risaliamo la Valle Pagana in una bella faggeta. All’uscita del bosco una prima sorpresa: un branco di cervi sta risalendo il costone in alto alla nostra destra. La valle si apre sempre di più, verdeggiante, gruppi di vacche al pascolo, in vista la mole imponente di Monte La Meta. Raggiunto il Passo dei Monaci (mt. 1967), ci rimangono gli ultimi 200 mt di dislivello, i più ripidi, fino alla cima a 2242 mt. Ma di lassù, che spettacolo! Uno sguardo senza confini su Lazio, Abruzzo e Molise, quasi fossimo su un aliante! La lunga discesa ci fa entrare per un tratto nel Lazio, poi nuovamente in Molise, successivamente in Abruzzo e, infine, poco prima e fino all’arrivo al Pianoro Le Forme e al bus, in Molise.
Tutte le nostre escursioni sono state immersioni in una natura lussureggiante: vaste faggete, abetaie, imponenti cerri, maestosi salici nelle zone più umide. Alte felci, fioriture dai colori intensi: l’arancio del giglio selvatico e il blu violetto della diffusissima calcatreppola ametistina (Eryngium amethystinum). Per fortuna nel gruppo c’è Beppe, la cui ineguagliata competenza botanica è un costante punto di riferimento!
I panorami sconfinati sono una precisa caratteristica del territorio. Nell’escursione di lunedì 11 luglio, superati i resti della cinta sannitica di Monte Cavallerizzo, percorriamo un piacevole sentiero a mezzacosta con panorama sul mare verde ondulato dell’Appennino, che sembra non finire mai, con vedute sul Montarone e il suo parco eolico, la valle del Verrino, monte Caraceno, Monte Pizzi, Monte Ingotta fino, in lontananza, al Matese. Mentre, poco dopo, dall’insellatura precedente la cima di Monte Capraro (1730 mt s.l.m.), dove c’è una croce, all’orizzonte è visibile la costa adriatica, Montedimezzo (Riserva M.a.B. UNESCO) e altre montagne dell’alto Molise e dell’Abruzzo più meridionale e interno. Il giorno successivo, martedì, a Capracotta, la salita alla spianata calcarea di Monte Campo (mt 1476 s.l.m.) ci offre una veduta amplissima sulla Valle del Sangro, con la massiccia mole della Maiella all’orizzonte. Non occorre neppure salire molto in alto; dai 953 mt di località Terravecchia, si ha una veduta sul massiccio del Matese, imponente blocco calcareo tra il Molise e la Campania. L’altura è il sito dell’antica Sàipins, città sannitica espugnata dai romani nel 293 a.C. durante la terza guerra sannitica, distrutta e abbandonata. Giovedì 14 percorriamo ciò che resta del cammino di ronda della cinta più esterna per raggiungere le suggestive rovine che emergono in mezzo al bosco, per finire con l’uscita dalla ”postierla del Matese” , la porta sul lato sud-ovest, proprio in vista del massiccio.
I «graziosi antichi borghi» sono ben rappresentati da Vastogirardi e Capracotta: Vastogirardi (ca 1200 mt s.l.m) , punto di partenza delle prime due escursioni, è arroccato intorno al Castello o rocca fortificata, oggi deliziosa corte chiusa circondata dalla regolare cortina muraria delle abitazioni sorte sul perimetro delle mura, raccolte intorno alla chiesa di S. Nicola. Capracotta (mt. 1421 s.l.m.), un lindo borgo in un severo e isolato ambiente montano, uno dei comuni più alti dell’Appennino, centro dello sci nordico, è stato sede dei Campionati Assoluti di Sci di fondo del 1997. Il suo storico Sci Club, fondato nel 1914, nel 2018 è stato insignito dal C.O.N.I del Collare d’oro al merito sportivo, insieme ad altre quattro società nazionali.
Ma anche Agnone, la nostra base, non un borgo, ma una singolare città d’arte montana (mt.833 s.l.m.), unisce alle qualità ambientali un tessuto urbano dal ricco patrimonio architettonico di pregevoli chiese (Sant’Emidio, San Francesco con annesso convento), torri campanarie e bei palazzi. Con la guida di Antonia abbiamo visitato in particolare il centro storico e il quartiere cosiddetto “veneziano”, dove è presente il simbolo del leone di San Marco nei palazzi signorili di XIV (palazzo Nuonno, con bottega artigiana) e XV secolo (palazzo Apollonio) a testimonianza dell’antica presenza veneziana. Non poteva mancare il panorama finale dal belvedere Ripa!
I «sorprendenti siti archeologici» sono stati il punto di arrivo della prima e dell’ultima delle nostre escursioni, concluse rispettivamente nell’area archeologica di Pietrabbondante e nella città romana di Saepinum.
Pietrabbondante, situato in posizione scenografica di fronte alla valle del Trigno, il più importante centro religioso, politico e civile dei Sanniti Pentri, dove il sorprendente è costituito anche dai sedili ergonomici in pietra del Teatro sannitico (fine del II secolo a.C.), nonché dalle splendide murature in opera poligonale.
Saepinum, fondata alla fine del II sec. a.C., è un’area archeologica molto particolare perchè è una città vera, con le porte, le mura in piedi, le strade percorribili, le fontane, le botteghe, le case contadine, ancora abitate da una famiglia, che si sono sovrapposte nei secoli agli edifici originari. Percorriamo il decumano, la via principale, ricalcata sul tracciato tratturale (tratturo Pescasseroli – Candela), perché la città fu fondata all’incrocio di assi viari così importanti per la transumanza da far sì che l’incrocio tra i due assi stradali principali (decumano e cardo) non sia a 90° come d’uso, ma un poco sbilenco, per meglio conformarsi sul sedime tratturale nord-est, sud-ovest. Come ci spiega Céline, la giovane e appassionata archeologa-guida turistica che ci conduce alla scoperta della città, la porta urbica dalla quale entriamo aveva una doppia chiusura. Lo spazio fra le due chiusure serviva a determinare la quantità di pecore che costituiva l’unità di misura (la “morra”, 357 capi) sulla quale era dovuto il pedaggio. Citando lo storico dell’arte T. Montanari: «Camminando per Sepino hai la sensazione di camminare nel tempo…capisci cos’è, davvero, l’Italia: o meglio, cos’era, e cosa potrebbe continuare ad essere. Un Paese…che consiste…nella capillare diffusione di siti meravigliosi, nel tessuto continuo di storia e natura ormai fuse in un paesaggio culturale unico al mondo» (vedi: T. Montanari, Sepino, Italia una bella sera d’estate, in “ Ora d’Arte”, Il Venerdì, 23 agosto 2019)
Durante tutta la settimana sperimentiamo «sapori intensi e genuini», ma a Sepino il contatto è davvero fisico, mettiamo le mani in pasta con la cooking class presso l’Antica Taverna del Principe. Impariamo a fare i cavatelli (pasta tradizionale molisana), le pallotte cacio e ova (polpette), le ferratelle (sottili cialde dolci cotte tra due forme di ferro riscaldate, ricordano i canestrelli canavesani e le tegole valdostane). E durante la cena fatta con le nostre preparazioni ascoltiamo le storie, poetiche e un po’ buffe, del Narratografo Stefano, ingegnere con la passione della fotografia e di scrivere e raccontare storie ispirate ai personaggi, alle tradizioni e alle memorie molisane.
Il meteo sfavorevole, con violento temporale scatenatosi mentre siamo sul bus, ci ha costretti, martedì 12, ad un “fuori programma” pomeridiano: la visita del Museo Nazionale del Paleolitico di Isernia, un museo strepitoso, articolato intorno al giacimento paleolitico della località La Pineta, risalente a 600.000 anni fa, uno dei più antichi e importanti d’Europa per la quantità e lo stato di conservazioni dei reperti ossei ritrovati (resti di bisonti, elefanti, rinoceronti, orsi, cervidi) oltre a manufatti litici. Il fatto di poter osservare direttamente da una balconata il sito (nel quale continuano i lavori di scavo e di studio, come testimonia l’attrezzatura presente), la didattica moderna, interattiva, molto coinvolgente; la grande porzione di paleosuolo ricostruito, con i reperti restaurati; le ricostruzioni di ambienti e di animali; il Bambino del tipo Homo heidelbergenis, il cui aspetto è stato ricostruito dai paleontologi e da una artista specializzata a partire dal dentino da latte appartenente ad un bimbo di 5-6 anni, unico reperto umano reso dal sito, fanno del museo un’esperienza di grande interesse e pure divertente.
L’ultimo giorno, oltre alla visita al centro storico di Agnone, le «tradizioni artigianali uniche» si uniscono ai sapori genuini. Agnone è conosciuta nel mondo come la città delle campane, perché la Fonderia Marinelli da 700 anni produce campane con l’antica tecnica della cera persa. La campana è uno strumento musicale la cui progettazione (almeno tre mesi e fino ad un anno per la grande campana del Giubileo 2000) e realizzazione è frutto di complessi calcoli matematici, che collegano il diametro della campana alle note musicali, con riferimento alla tastiera del pianoforte. Richiede un perfetto dominio della materia al momento, delicatissimo, che non ammette errori, della fusione. L’indomito Maestro campanaro, che sovraintese alla fusione della campana del Giubileo, ora in pensione, ci guida nella visita fino nell’officina, vero antro di Vulcano dove il tempo sembra essersi fermato. Ci congeda suonando una piccola orchestra di campane. Siamo interamente avvolti da una sonorità potente, è un momento di intensa suggestione.
Uno dei punti di forza storici del territorio molisano è la produzione dei formaggi, in primis del caciocavallo. Perciò la visita-degustazione al Caseificio Di Nucci non è una semplice degustazione, ma il contatto con una storia antica ed una tradizione produttiva e culturale forti. La famiglia Di Nucci si occupa di latte dal 1662, il loro caciocavallo nel 2013 è stato inserito tra i 50 migliori formaggi a pasta filata del mondo ed è stato oggetto di numerosi premi e riconoscimenti. Ci accoglie l’ultima generazione: Francesco, che con competenza, passione, chiarezza didattica, anche in risposta alle numerose domande, ci guida attraverso i locali destinati alle fasi di produzione, fino alla stanza del tesoro, la cella di affinamento e stagionatura del caciocavallo; Antonia, che illustra la storia aziendale attraverso il piccolo museo familiare e la successiva degustazione. Cattura l’interesse del gruppo la raccolta di libri sul territorio, le produzioni tradizionali, la storia dei popoli originari, i Sanniti, con propositi di lettura una volta tornati a casa.
L’ultima sera, venerdì, con una piccola cerimonia di saluto, Antonio consegna a ciascuno una bottiglia di olio, pregiato prodotto del territorio, e ringrazia noi, componenti di un sodalizio dedicato alla montagna e all’ambiente, viaggiatori attenti e curiosi di conoscere e capire, per aver scelto il Molise per il nostro cammino. Sostenendo anche concretamente quel piccolo circuito economico virtuoso legato al turismo a basso impatto che permette a tanti giovani di investire con intelligenza, energia e tenacia nello sviluppo del loro territorio, appassionatamente amato e illustrato con competenza e un “tratto umano” fatto di gentilezza e disponibilità. Così è per Antonio, la nostra guida escursionistica, storico per formazione e guida per passione e per professione; per Céline, archeologa e guida turistica che ci aspetta a Saepinum con la mappa didattica del sito; per Stefano il Narratografo; per la famiglia Di Nucci e la Fonderia Marinelli, custodi di tradizioni e saperi preziosi; per la famiglia e lo staff dell’Antica Taverna del Principe di Sepino; per la panetteria che ci ha fornito i golosi sacchetti pranzo; per lo staff dell’hotel, i ristoratori, i trasportatori, Musei e Siti archeologici. Nel nostro piccolo, abbiamo contribuito ad una economia virtuosa e sostenibile. Ci portiamo a casa il ricordo di una settimana di scoperta, di conoscenza di realtà e persone inaspettate, per un trekking che ci resterà nel cuore.
Testo: Liliana Cerutti; Foto: Laura Merlo e altri