Per gli appassionati di montagna il periodo pasquale è dedicato ai trekking ed ai raid. Purtroppo l’emergenza corona virus ci ha annullato tutti i nostri impegni con il #IoRestoaCasa e #andràtuttobene. Allora ecco che ci viene in aiuto l’amico ugetino di lungo corso Lorenzo Barbiè per raccontarci una bellissima traversata sulla Via Alpina; si tratta di una bella idea da realizzare quando sarà tutto finito perchè, come dice l’amico Beppe:
sempre bin a poel nen andè, sempre mal a poel nen durè
Dal Po alla Via Alpina per un po’ di Via Alpina ovvero
la traversata Maloja-Les Diablerets
Beh, non è certo una grande impresa, ne una spedizione extraeuropea o una salita prestigiosa: si tratta semplicemente di un trekking non troppo lontano da casa: 16 giorni di cammino solitario, seguendo una linea ideale da est ad ovest, immaginata per congiungere due punti più o meno noti dell’arco alpino, il Maloja Pass e Les Diablerets, attraverso una buona parte di Svizzera con due enclavi italiane.L’idea è nata leggendo i notiziari del nostro sodalizio, Lo Scarpone e La Rivista, sulla Via Alpina, relativi alla realizzazione di questo progetto europeo, di cui tuttora operativo non è ben chiaro se sia in fase di sviluppo ed operativa. Il sito internet www.via-alpina.org è diventato la fonte di preparazione e formazione del percorso, proseguiti poi con lo studio cartografico.
Dovendo questo piccolo progetto sottostare all’approvazione di me medesimo, ho individuato un’area alpina che ben poco conoscevo e che al tempo stesso aveva una logistica molto semplice. Ne è scaturito un percorso estremamente vario, nelle sue accezioni orografiche, geografiche, storiche, culturali e linguistiche, che personalmente mi ha dato modo di conoscere valli e monti delle quali ignoravo l’esistenza sino al momento di percorrerle. Penso che ci siano ben poche aree al mondo così multilingui nell’arco di pochi chilometri: quattro lingue oltre alle diramazioni dialettali; si passa così dal romancio, con una breve parentesi tedesca, per piombare nelle vallate di lingua italiana, ritornando, appena valicato il Passo di Gries, nel mondo tedesco e concludere infine nel cantone francese di Vaud. Questo mi ha portato ad una divertente confusione linguistica negli incontri talvolta frequenti più spesso rari o rarissimi con coloro che incrociavo durante il tragitto. I saluti si sprecavano in un calderone vocale, più o meno comprensibile dai suoni dolci, duri, piani o gutturali.
Ripensando ai giorni passati in questa traversata, si affollano nomi quasi impronunciabili o difficilmente ritenibili nella memoria: Engstligenfalle, Pianca Geneura, Gommer Hohenweg, Chindbetti, Rote Chummi e via dicendo; in contrapposizione ad altri nomi ben noti nei circuiti internazionali, Maloja-Engadina, Aletschgletcher, Gemmi Pass, Adelboden, Simmental, Diablerets, eccetera. In ogni caso le immagini d’ ognuno mi rimarranno ben impresse nel ricordo, così come nel ricordo sfila questo viaggio più o meno lungo. In fondo è poi di un viaggio che si tratta, effettuato a piedi, con i tempi più lenti e le distanze più brevi, però più profondo, consistente e conoscitivo per assimilare e comprendere il territorio. Ecco allora il racconto sintetico di questa traversata, che è non solo un elenco di colli, cime, quote, di tempi e dislivelli, ma è anche il soffermarsi sulle caratteristiche e le specificità che contraddistinguono le montagne e le vallate attraversate.
Già nel primo giorno di cammino, lasciato lo splendido fondovalle dell’Engadina, arrivo al Passo Lunghin 2645 m, sopra l’omonimo lago, qui incontro la prima curiosità geografica: il passo è l’unico punto spartiacque in Europa da cui si originano tre bacini idrografici, le cui acque scorrono verso il Mare del Nord attraverso una delle sorgenti del Reno, verso l’Adriatico con il Mera ed il Mar Nero con le sorgenti dell’Inn. Passati altri colli si arriva nei villaggi quieti e remoti della Val d’Avers, Juf, Juppa, Crot, Innerferrera. Continuo lungo la valle fino al passo di Niemet, da cui entro in quella punta di Lombardia che è la zona dello Spluga e da cui scendo in breve al tranquillo specchio del Lago d’ Emet e al Rifugio Bertacchi. Qui la sosta è d’obbligo, essa viene ricompensata dalla voce di Revinne, graziosa parigina capitata lì quasi per caso, che accompagna con la chitarra brani di De Andrè e dà la buonanotte con una canzone di Carla Bruni, sensuale la canzone e sensuale la voce.
Nel giorno successivo, che sarà il più lungo, il percorso si snoda sulle antiche strade dei viaggiatori attraverso la suggestiva Gola del Cardinello, lì sale la vecchia mulattiera dello Spluga, un’opera d’arte intagliata nelle rocce a picco sulla gola, con gli scalini di pietra consunti dai tanti e remoti passaggi. Oltre Isola si risale la Val Febbraro tra boschi e cascate fino all’ Alpe Borghetto, in un area particolarmente importante sotto il profilo storico e archeologico, ricca di reperti; qui si è scoperta la presenza di un alpeggio risalente a 2800 anni fa. Poi i laghi di Baldiscio ed il passo omonimo oltre il quale ogni traccia ed ogni segnavia scompaiono per lasciare posto ad una terra di nessuno, un passo da contrabbandieri, che nel maggio del ’44 fu teatro del primo cruento episodio del contrabbando, in cui due spalloni italiani furono uccisi dai doganieri svizzeri; fu l’inizio di un periodo tragico e sanguinoso sulle montagne ticinesi. Il confine non è sulla cresta spartiacque, ma più in giù ad una porta naturale di roccia e di acqua, oltre la quale, dopo un tratto bucolico di radure, cascatelle e pozze, il sentiero precipita sul fondovalle della Mesolcina con un bosco verticale, aggirando balze di roccia e strapiombi erbosi, rivelandosi come il tratto più impegnativo e scabroso di questo trekking, nel quale devo scendere ben sicuro e concentrato. Da Mesocco riprendo una lunga salita sino alla Bocchetta di Trascolmen oltre la quale si vedono valloni e montagne selvagge, per me totalmente ignote. Per uno di questi valloni raggiungo il fondo della Val Calanca, luogo di grande suggestione in questa zona appartata dei Grigioni-Graubunden, un autentico e miracoloso connubio di valloni ed aspre montagne a cui fanno contrasto i bellissimi paesi di fondovalle: Valbella, Rossa, Augio, Selma. Nell’ architettura delle case si evidenziano i tetti a lose granitiche rettangolari, di dimensioni non molto grandi ma spesse; legno e pietra si amalgamano in armonia, affreschi sacri o profani abbelliscono le facciate. Da Selma parte una piccola cabinovia, tutta automatica: prendo il biglietto, lo convalido ed accedo alla cabina di quattro posti, schiaccio il pulsante e via su per 280 metri di dislivello, che mi portano al villaggio di Landarenca, gioiello sospeso sulla valle, senza strada che lo raggiunga, luogo di pace e di armonia, abitato tutto l’anno da una popolazione attiva ed orgogliosa di questa sua specificità. A malincuore lascio il paesino, ma la strada è lunga e, dopo un tratto bucolico, mi inoltro nella montagna sempre più aspra e solitaria, scavalco due colli, contornando Il Torrente Basso e il Torrente Alto, due montagne possenti e maestose dove l’occhio si perde a cercare una facile via di salita, che non esiste. A smorzare la durezza dell’ambiente c’è il piccolo alpeggio di Orf in un ripiano erboso solcato da ruscelletti, al centro del quale troneggia un enorme masso quasi interamente invaso da una vena di quarzo. Oltre il Passo del Mauro scorgo le linee più dolci dell’Alpe Cava, ad esse si contrappone una pioggia fitta e persistente, che mi accompagna nella lunga discesa che da 2100 metri mi porta ai 300 di Biasca, arrivando in mezzo ai cantieri attivi dei lavori per il megatunnel ferroviario di 56 chilometri del Gottardo.
La pioggia incombe e mi costringe ad una sosta forzata, ma bene accetta, a Sonogno in Val Verzasca, un’altra perla delle valli della Svizzera italiana, coi soliti bei paesini, ricca di acqua e di cascate. Da Sonogno a Prato Soncino in Val Lavizzara per la Forcella di Redorta: altro itinerario immerso nella quiete e nella solitudine. Alla partenza il tempo non ha ancora ben deciso se mettersi al bello, alcune nuvole risalgono la valle, ma mi trovo sempre un po’ sopra di loro, poi appare un sole un po’ più convincente, mi sento più tranquillo anche se le pietre del sentiero sono assai scivolose ed alcuni passaggi sono esposti. Solo verso la fine incontro una coppia di cacciatori riciclatisi in cercatori di funghi. La presenza di cacciatori mi desta un po’ di preoccupazioni, poiché mi muovo solitario e silenzioso, non desidero essere scambiato per un cervo od un camoscio.
Scendo fino ad incrociare l’imbocco della Val Bavona, che risalgo. Questa valle mi colpisce per la sua bellezza aspra e selvaggia: un’infinità di pareti granitiche separate da valloni dirupati, da torrenti impetuosi che formano cascate, l’asprezza contrasta con il fondovalle di prati e di piccoli ridenti villaggi, dove affiorano qua e là enormi massi erratici che rompono le geometrie e rimandano a remote forze primordiali.
Più in alto dove la valle si allarga s’incominciano ad intravedere i ghiacciai, primo fra tutti quello del Basodino. La regione qui abbonda di dighe e dei laghi che esse formano: è un ambiente un po’ strano, con un sistema stradale sospeso e collegato col basso tramite teleferiche. All’ accogliente Capanna Basodino si impone un’attesa, aspettando che cessi una pioggia non prevista, ma il tempo torna verso il bello e posso riprendere il cammino verso la Bocchetta di Valmaggia. L’ aria è fredda e sfrangia le nuvole, che tuttavia restano incollate alla cima del Basodino. Dal passo ritorno in Italia, nell’estremo lembo settentrionale del Piemonte, scendo sui laghi Boden, posti su un altopiano dove luci, clima e nuvole mi ricordano la Patagonia. Il sentiero che scende a Riale e quello del giorno successivo, fino al Passo di Gries, meritano il premio per il fondo migliore e più comodo per camminare: terra battuta e niente sassi. L’ accogliente B&B Schtebli a Riale è il punto tappa per quel giorno: i proprietari mi affidano questa deliziosa casetta confortevole, calda e ben arredata. Ho un po’ di rimpianto nel lasciarla anche perché mi aspetta un cielo grigio che porterà freddo e pioggia fine ed insistente sin oltre il Passo di Gries, valico già utilizzato in epoca romana, porta dei territori walser dell’alta valle del Rodano. Scendo sino a Goms, nella parte tedesca del cantone bilingue del Vallese. E qui, dopo avere sceso l’Agenetal fino ad Ulrichen, mi trovo in un ambiente che è lo stereotipo della Svizzera: prati verdi e ben curati, intervallati da boschi di conifere, villaggi posizionati mirabilmente, mucche placide al pascolo, un’atmosfera silvo-pastorale praticamente perfetta al punto che rischia di essere stucchevole. Ma non si possono che ammirare le architetture lignee dei rascard nel loro insieme e nei particolari; è emozionante l’attraversamento del Rodano a Reckingen su di un bellissimo ponte di legno coperto. Subito oltre sono affascinato dallo splendido edificio ligneo, strabordante di fiori, dell’Hotel Joopi, la civetta, che invita a fermarmi. Sulla destra orografica della valle, ad una quota tra i 1500 e i 1800 metri si snoda per un lungo tratto la Gommer Hohenweg, la via Walser che passa alta sulla valle con un percorso piacevole e rilassante, con scorci magnifici, tra boschi e radure. Arrivo così a Bellwand, importante centro turistico posto su un costone che separa la valle principale dalla Fischertal, ed è proprio in questa valle che discendo per riprendere la salita sino alla Burghutte, ma, ahimè, il rifugio è chiuso, non ha locale invernale e soprattutto non si trova acqua nelle vicinanze, così sono costretto a ripiegare verso la valle e al buio raggiungo il villaggio di Fiesch. Dalla Fischeralp parte un comodo tracciato che conduce ad un tunnel pedonale, illuminato, lungo 1 km; all’uscita dal tunnel l’ambiente cambia repentinamente: si è a Marjela, punto di contatto col più grande ghiacciaio delle Alpi, l’Aletschgletscher.Marjela è un ambiente un po’ particolare, è una sorta di valico non ben definito, un ampio corridoio che congiunge le zone boschive e di pascoli con l’alta montagna, c’è un laghetto naturale ed uno più vasto artificiale, c’è un ottimo rifugio e uno stupa buddista, tant’è che pare d’essere in Himalaia. Delle altitudini himalaiane ci sono le grandi montagne dell’Oberland ed un cielo terso e luminoso, che apre panorami mozzafiato. Per tutta la giornata lo sguardo abbraccerà almeno un cinquantina di quattromila delle Alpi, dall’ Aletschorn al Cervino, dai Mischabel al Weisshorn, dal Rosa alla Jungfrau, tanto per citarne alcuni. Il bellissimo sentiero, che si mantiene su una quota di 2300 metri, alto sul ghiacciaio e parallelo ad esso, è ideale per bearsi e contemplare questo magnifico paesaggio, ulteriormente impreziosito dalla foresta di pini, attraverso la quale raggiungo Riederalp. Questa è la giornata in cui ho incontrato il maggior numero di escursionisti, quasi totalmente assenti nelle puntate precedenti. Ma già nella ripida discesa su Blatten si rifà il vuoto, così transito in solitudine sulla diga formata dalle acque che escono dall’ Aletschgletscher; al termine della diga devo riguadagnare la stradina che in breve porta a Blatten, salendo una dozzina di rampe metalliche. A Blatten le sistemazioni sono poche e costose, per cui raggiungo il villaggio di Mund, che è il luogo di produzione dello zafferano svizzero: in effetti nei prati intorno si notano numerosi i crocus in fiore, dalla cui stimma si ricava appunto la preziosa spezia. Ma a Mund, contrariamente a quanto riportato sul sito, non c’è alcun punto di sosta, incominciano così le peripezie per cercarne uno nei dintorni; per tutta una serie di vicende, mi ritroverò a Leukerbad, la splendida località alpina e termale, incassata tra alte pareti calcaree ai piedi del Gemmi, uno dei più curiosi passi delle Alpi. Qui una sosta s’impone per immergersi nelle acque calde e nei loro giochi, che danno conforto e benessere alle membra affaticate, finalmente un po’ di riposo. Ma il riposo dura poco perché il cammino continua raggiungendo per un ardito sentiero il Gemmi Pass, gigantesco intaglio che separa la Valle del Rodano dalle valli bernesi, i dirupi verticali dalle morbide linee degli altopiani calcarei, sui cui s’adagia il Daubensee e su cui occhieggia languidamente il vasto ghiacciaio del Wildstrubel, forse il ghiacciaio più vasto delle Alpi a quote poco elevate. Scavalcati due colli, scendo alla conca di Engstligen, sotto la quale la mulattiera divalla velocemente, spesso intagliata nella roccia, a fianco dell’omonima ed imponente cascata, ai cui piedi si adagia la valle di Adelboden, il ben noto centro turistico che si allunga alto sulla valle e sull’opposto versante. Le cime si smussano, le vallate si distendono ammantate di boschi e dolci declivi prativi e così sarà per l’ultimo tratto di questo trekking, sullo sfondo rimangono le linee più aspre e glaciali del Wildhorn e dei Diablerets. Attraverso la Simmental e le valli di Gstaad, dove mi sembra d’essere nella più classica delle iconografie, con tanto di tranquille mucche al pascolo, di prati rasi, di fienili ordinati, di balconi fioriti; gli unici suoni sono quelli dei campanacci e dei ruscelli. Con il sole ancora caldo di questo inizio d’autunno valico il Col du Pillon per rientrare nuovamente nel bacino del Rodano; più in basso, a Les Diablerets. E’ in partenza un piccolo trenino di montagna: lo prendo al volo. Il trenino scende tranquillo, taglia ripidi pendii boschivi, alto sul fondovalle, e passa su arditi ponti; mi riporta al piano e al ritorno, senza fretta, lasciandomi la sensazione di avere attraversato un microcosmo, con il pensiero che vagola già verso altre mete, altri trekking, consapevole che il conoscere e il viaggiare non avranno mai fine.